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Still Waiting For Godot

“L’assedio di Sarajevo è durato 1425 giorni. Durante questo periodo 13.952 persone sono state uccise, 70.000 ferite e 35.000 edifici demoliti. E per quanto siano orribili questi numeri, forse persino incomprensibili oggi, non riescono a trasmettere l’intera estensione dell’assedio.
Quei numeri non possono descrivere come erano quei giorni e quelle notti impercettibilmente legati assieme, non ci fanno sentire la fatale esplosione di una granata, il raccapricciante suono di un colpo di cecchino, gli ululati ed i pianti, non siamo paralizzati dalla paura, con le
orecchie che fischiano e la polvere negli occhi. Non annusiamo la morte né sentiamo il suo tocco nel nostro sforzo di sopravvivere ogni singolo giorno di quei 1425.” –
Selvedin Avdic, “Siege of Sarajevo”
Ispirato ad eventi realmente accaduti.

Due giovani attori di una neonata compagnia teatrale sono stati scelti per interpretare un classico del teatro, Waiting for Godot di Samuel Beckett. Fin qui, niente di speciale. Ma chi li ha scelti non è una regista qualunque: è la regista, scrittrice e attivista americana Susan Sontag.

Il periodo non è un periodo qualunque, sono i primi anni ‘90. Il palco su cui si esibiranno non è un palco qualunque, è il Kamerni Teatar situato nella città che è stato il teatro di una delle più sanguinose guerre del XX secolo: Sarajevo. E così l’attesa per Godot diventa l’attesa di un aiuto dalla comunità internazionale per fermare una guerra che pochi capiscono, ma che tutti subiscono.

Quando le circostanze degenerano, dopo lo spettacolo, i due attori dovranno confrontarsi con loro stessi ed i propri valori, sforzandosi di rimanere attaccati ad un’umanità che la guerra cerca costantemente di strappare loro. Come si fa a Rimanere Esseri Umani quando il contesto è bestiale e mostruoso? Come si fa a sperare quando sembra di essere stati abbandonati dal mondo? Quanto valgono la normalità e le vecchie abitudini quando vivi sotto assedio?

Delle domande, purtroppo, sempre troppo troppo attuali.

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